I Love My Bike – La bicicletta icona di libertà

I Love My Bike – La bicicletta icona di libertà

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I Love My Bike – La bicicletta icona di libertà

a cura di Valeria Tassinari.

Dal 12 settembre al 25 ottobre 2020.

Artisti: Alain Breyer, Marina Amadio, Vito Bucciarelli, Luciano Calzolari, Damien Hirst, Alfredo Libero Ferretti, Lonaa, Maurus Michael Malikita, Paola Marzoli, Marco Pellizzola, Giuseppe Pezzini , Cesare Siviglia, Stefano Tassi.

Testa, cuore e due ruote, la forza nelle gambe, l’orizzonte nello sguardo: la bicicletta che diventa parte del tuo corpo e ti porta dove vuoi. A quest’oggetto simbolico della modernità il Museo MAGI dedica la mostra di riapertura, per celebrare con ironia e leggerezza l’idea di libertà e movimento.

Da oltre due secoli, infatti, la bicicletta è considerata ben più di un mezzo di locomozione, perché rappresenta uno strumento di libertà e un modo di essere indipendenti. Su due ruote si diventa padroni di una diversa dimensione dello spazio e del tempo, si possono superare limiti ed esplorare nuove terre, si riesce a sentire l’energia potente del proprio corpo che si sposta nella natura, si resta soli e ci s’incontra, si fatica e ci si diverte.

Come ha ricordato il grande antropologo Marc Augé nel suo Éloge de la bicyclette:
“È impossibile parlare del bello della bicicletta senza parlare di sé. La bicicletta fa parte della storia di ognuno di noi. Il momento in cui impariamo ad andare in bici appartiene ai ricordi speciali dell’infanzia e dell’adolescenza. È così che abbiamo scoperto un po’ del nostro corpo, delle nostre capacità fisiche, e abbiamo sperimentato la libertà legata a questa scoperta”

Oggi il grande rilancio della bicicletta – non solo nello sport, nel cui ambito sono nati miti leggendari, ma anche nella vita quotidiana e nel tempo libero – è ormai un fenomeno planetario, che sta cambiando il modo di disegnare le città, di concepire la mobilità, di vivere il viaggio e a socialità. La continua apertura di percorsi ciclabili offre inedite prospettive di visita ai territori, crea nuove reti di relazioni e innesca dinamiche socio-culturali virtuose e sostenibili, favorendo la diffusione di una nuova economia turistica, attenta alla riscoperta lenta del patrimonio artistico e ambientale.

Per rendere omaggio a questa icona della tecnica, sempre bellissima perché sostenibile, democratica e universale, Valeria Tassinari ha selezionato dieci opere della sua collezione permanente del Museo MAGI e invitato quattro artisti contemporanei internazionali, per rappresentare, in un’ampia varietà di linguaggi, alcuni momenti significativi della storia della bici come icona tra XIX e XXI secolo. Dall’ipnotico dinamismo delle ruote futuriste, alle crocerossine di guerra, dalla fantastica epopea di Coppi e Bartali alla curiosa varietà del pubblico che attende il passaggio dei Tour, dalle ironiche interpretazioni neodadaiste al neorealismo, la bicicletta è, infatti, un oggetto evocativo di alto valore simbolico e affettivo, che tutte le arti hanno saputo interpretare.

collage-totale-webIn un clima tutto teso tra velocità e divertimento ci introducono tre disegni di anonimi futuristi, bozzetti capaci di cogliere a volo tutta l’energia dinamica della ruota in azione, mentre al fascino ipnotico della rotazione si richiamano un’opera sperimentale degli anni Sessanta di Alfredo Libero Ferretti e una delle celebri “spin paintings “ di Damien Hirst, ottenute dall’artista britannico dipingendo superfici circolari in rotazione. Con una pittura dalla forte carica simbolica, Marco Pellizzola ha interpretato il magico legame tra cervello e cuore – il vero potere dei campioni – come un meccanismo aureo e segreto nascosto nell’immagine immortale di Fausto Coppi, riconoscibile in una silhouette che sfreccia come un’ombra sospesa nell’azzurro infinito. Le “Ombre”sono protagoniste anche della ricognizione fotografica di Luciano Calzolari, attento narratore del quotidiano, che, osservando la proiezione oscura disegnata dal sole alle spalle di un misterioso soggetto fuori campo, nelle sue stampe in bianco e nero coglie tutta l’incantata solitudine di un ciclista che attraversa la pianura emiliana. Il fotografo belga Alain Breyer ha invece lavorato con un’intensità cromatica che restituisce tutta la fragranza di una vivace umanità, periferica e popolare, impegnata nel rito collettivo di aspettare il passaggio di un celebre tour ciclistico: un campionario simpatico e sincero di volti e situazioni che raccontano la passione dello spettatore in attesa dell’attimo fuggente. Domina il blu inchiostro, in un viraggio dalle suggestioni pittoriche, nelle opere di Stefano Tassi, artista da tempo impegnato nella sperimentazione di una particolare tecnica di stampa (da lui definita “fotografia anemica”) che rende l’immagine di ogni scatto unica e irripetibile; per l’occasione ha scelto di rendere omaggio a un’iconica sequenza di Ladri di biciclette, accostando la rielaborazione di un fotogramma del film con un evocativo ricordo del furto della sua bicicletta personale.

Più ironiche e vagamente neo dadaiste le interpretazioni oggettuali, come l’assemblage del colombiano Cesare Siviglia, che con un gioco di picassiana memoria ha trasformato un vecchio sellino in un curioso animale meccanico, e l’eccentrico ciclista in ceramica di Vito Bucciarelli, uno svagato alterego dell’artista che si rappresenta come uno “psiconauta” distratto, sospeso in precario equilibrio sulla sella, come se le ruote scorressero incontrollate sull’esistenza.

In sella, mentre pedala con determinazione ed energia, è anche la crocerossina di guerra di Marina Amadio, artista che si è a lungo impegnata nella valorizzazione del ruolo delle donne nella società: la sua interpretazione della giovane ciclista, disegnata a dimensione naturale, lieve e quasi fumettistica, ci ricorda storie di coraggio e intraprendenza.

Alla memoria infantile riporta invece il dipinto di Paola Marzoli, che con una pittura di tocco e una figurazione emozionale mostra una bambina che esplora il mondo degli adulti con sguardo critico, di fronte alla distruzione della natura.

Un’esplosione densa di storie e colori, sapore di spezie, voci e rumori di mercato, di metropoli e baraccopoli accomuna le opere di Malikita (Tanzania) e Lonaa (Kenia) che ci raccontano la loro Africa dove ancora la bicicletta è lo strumento di mobilità più popolare e diffuso, utile per lavorare e per percorrere le lunghe distanze, in una società povera ma desiderosa di riscatto, che ci ricorda l’Italia del dopoguerra.

Ed è proprio con uno sguardo documentario e lieve sui nostri anni ’40 che si chiude la mostra, grazie a una selezione di scatti d’epoca trovati nell’archivio di Giuseppe Pezzini, fotografo itinerante nato a Occhiobello nel 1907. Le sue immagini in posa, scattate negli anni vicini alla Seconda guerra mondiale guerra sulle strade della bassa pianura emiliana (ristampate per l’occasione dallo Studio Blow-Up di Crevalcore), riportano a noi sorrisi di ragazze e ragazzi di paese, tra gambe tornite di giovani bellezze in viaggio per le risaie e pantaloni arrotolati di uomini pronti a pedalare per riappropriarsi del futuro.

Una mostra, dunque, che esalta l’idea di leggerezza e libertà, da visitare gratuitamente, magari proprio raggiungendo il museo in bicicletta, sulle belle ciclabili che attraversano la pianura emiliana, tra i caldi colori di fine estate e dell’autunno padano.

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